«Pinocchio, favola nera di Mannino il visionario. Prospettive ribaltate. Visione più astratta dove i confini teatrali si sgretolano sino a smarrirsi.» Giornale di Sicilia – Simonetta Trovato

4 October 2018 10:23  /  Press
«Pinocchio, favola nera di Mannino il visionario. Prospettive ribaltate. Visione più astratta dove i confini teatrali si sgretolano sino a smarrirsi.» Giornale di Sicilia – Simonetta Trovato

Il protagonista non è il burattino bugiardo, ma quel padre misero che divide la pera in spicchi. E la offre a quel suo figlio di legno, bizzoso e insopportabile. Geppetto è sempre stato in disparte, testimone attento della tracotanza del ragazzino di legno: Simone Mannino lo tira fuori dall’armadio, lo spolvera, soffia via la fuliggine, lo tira in piedi e lo spinge in scena. Sarà lui il protagonista di «Hard to be Pinocchio» che il regista rilegge in maniera  visionaria e propone in una prospettiva ribaltata ed esistenziale.

Mannino aveva già lavorato a questa riduzione per un debutto di quattro anni fa ad Istanbul, ma lo spettacolo fu spazzato via durante il golpe tra il 2014 e il 2016, quando viene annullata la stagione dell’Harbiye Tiyatro. A distanza di due anni, Mannino ha ripreso in mano il testo e lo ha affidato a parecchi dei suoi attori – Paolo Mannina, Simona Malato, Ada Giallongo, Valeria Sara Lo Bue, Jesse Gagliardi e Claudio Pecoraino – che l’anno scorso presero parte a «WombTomb» liberamente ispirato a «La macchina Infernale» di Jean Cocteau, che ha aperto il cartellone di Teatro Bastardo. E che oggi gravitano intorno alla compagnia Atelier Nostra Signora, collettivo artistico che riunisce attori tra Italia e Turchia.

«Hard to be Pinocchio» sarà in anteprima sabato e domenica alle 21 al Teatro Biondo, per poi volare all’Out Off di Milano per il debutto nazionale (4,5 e 6 ottobre). La riscrittura del testo e la sua trasposizione in italiano risentono dell’esperienza turca: Simone Mannino avvia un dialogo ancora più intimo con Geppetto, qui Padre per eccellenza. Una visione più astratta, uno scenario asciutto senza tempo e connotazioni individuali, dove i confini teatrali si sgretolano sino a smarrirsi.

La scena racconta di un mondo in cui il grottesco gioco della tragedia umana si muove attraverso lo strumento dell’immaginazione.

«Geppetto diviene personaggio universale che intraprende un viaggio nei labili e ambigui territorio della memoria e della menzogna – scrive Mannino – mostrandoci un’umanità incastrata nella sua stessa essenza. A guidarci è proprio la figura allucinata del padre di Pinocchio, personaggio disincarnato dai suoi simboli, che si spoglia di un linguaggio teatrale pregno di indulgenza retorica per immergersi nei suoi innesti d’i mmaginario. Quando Pinocchio perde il suo corpo di legno e diventa un bambino “Vero”, ha perso qualcosa che non tornerà più?
Pinocchio è il ragazzo di strada, ma è anche il fanciullo borghese. Un viaggio a ritroso in un regno sociale in cui le parole non hanno più senso, in cui regnano la forza e l’istinto di creature selvagge. Non è un figlio che cerca un padre, ma un Padre che si interroga sul suo dar vita ad un essere dipendente da lui. È Padre e Figlio, involontario demiurgo, voce narrate di un’opera in cui favola e dramma si inseguono, in cui il «noi» diventa « io »’. Pinocchio è un’illusione, un suggerimento posticcio, un’allusione della mente che talora entra prepotente nelle domande del Padre » .

Nella riduzione adoperata da Simone Mannino i personaggi ricreati sono parti di un meccanismo sincrono, feritoie attraverso cui guardare svolgersi il dramma.
«Confrontarsi con Pinocchio vuol dire non soltanto attraversare una vertiginosa commistione di generi letterali, quanto mettersi di fronte a una materia viva, dinamica e inesauribile che parla mille lingue.

Iniziare lo spettacolo da un libro  aperto, è ammettere fin da subito che dentro il capolavoro di Collodi esistono libri paralleli. Percorsi di lettura incrociati. Visioni dell’infanzia diverse, dunque in un certo senso, un itinerario “obbligato” della elaborazione della stessa genesi dell’umanità».
Una partitura assurda, violenta, dalle tinte brechtiane in cui teatro e arti visive dialogano e si mescolano, come già era successo con «Womb Tomb» e che pesca nell’esperienza precedente di Mannino come artista visivo e ideatore di scene convulse.

Simonetta Trovato
Giornale di Sicilia